Fino al secolo scorso le piante venivano tagliate soprattutto per ottenere legna
da ardere e materiale da costruzioni; si sceglievano gli alberi più idonei e non si arrecavano eccessivi danni alla vegetazione. Oggi, invece, centinaia di kilometri quadrati di foreste scompaiono ogni anno per favorire sia l'allenamento dei bovini, la cui carne è sempre più richiesta, sia l'agricoltura intensiva di monocolture, come la soia; se queste attività continueranno a espandersi con il ritmo attuale, nel 2050 sarà distrutto il 40% della foresta amazzonica. La distruzione delle foreste avviene anche per la costruzione di nuove strade: per esempio, per realizzare l'autostrada transamazzonica (lunga 5000km) è stata disboscata una fascia di 6 km su entrambi i lati del percorso, con un pesante impatto non solo ecologico, ma anche antropologico sulle popolazioni indigene che sono state allontanate, o persino eliminate, in quanto ritenute di ostacolo allo sviluppo economico che l'autostrada comportava.
Nelle foreste tropicali praticamente tutte le sostanze minerali sono trattenute all'interno degli organismi viventi dell'ecosistema e non rimangono nel suolo, neanche per brevi periodi di tempo. Per questo, quando la foresta viene tagliata o bruciata per creare campi coltivabili, il suolo perde rapidamente le sostanze nutritive e spesso, dopo un primo e un secondo raccolto, è impossibile ottenerne altri se non con massicce concimazioni chimiche. Di conseguenza, è economicamente più vantaggioso distruggere altri pezzi di foreste piuttosto che cercare di sfruttare i tetrrebi ormai impoveriti; in tal modo, però, la deforestazione avanzata, lasciandosi alle spalle i territori sfruttati. Oltre che in Brasile, sono in corso grossi interventi di deforestazione anche in Colombia, Cina, Congo, India, Nigeria e Messico, nazioni che sono interessate da gran parte del disboscameto mondiale.
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